Due piante efficaci contro
SARS-CoV-2
GIOVANNI
ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 18 febbraio
2023.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Per espressa richiesta degli autori dello studio che
stiamo per presentare, avvertiamo che le due specie vegetali di cui si tratta
sono velenose per l’uomo, pertanto l’assunzione di preparazioni erboristiche o
casalinghe delle due piante a scopo di “automedicazione” potrebbe causare gravi
danni tossici e anche la morte. Tanto premesso, soprattutto perché fra coloro
che accedono liberamente al nostro sito web potrebbero esserci persone
non edotte e ingenuamente influenzate dalla moda corrente per l’uso di prodotti
“naturali”, passiamo a considerare l’interessante prospettiva, in chiave
farmacologica, dell’identificazione di composti in grado di ostacolare l’ingresso
del β-coronavirus SARS-CoV-2 nelle mucose del nostro organismo.
Durante questa pandemia si è avuta notizia di
numerosi principi attivi, estratti o molecole di origine vegetale
potenzialmente in grado di proteggere dal virus, ma solo in pochissimi casi è
stata condotta una rigorosa analisi tossicologica e farmacologica in grado di
stabilire l’innocuità alle dosi attive e valutare su base farmacodinamica gli
effetti e la loro efficacia. Negli USA si è registrato un notevole incremento
di vendite di supplementi dietetici di origine botanica, propagandati da fonti
non medico-scientifiche come in grado di proteggere dallo sviluppo di COVID-19.
In Italia il fenomeno è stato molto contenuto e un po’ camuffato da generica
attenzione salutistica, ma in tutto il mondo è mancato per un po’ di tempo l’intervento
della scienza con un accurato controllo sperimentale delle proprietà, della
tossicità e dell’efficacia di principi vegetali proposti su base empirica.
Caitlin J. Risener e colleghi
hanno intrapreso una scrupolosa e dettagliata analisi di principi vegetali potenzialmente
antivirali attingendo alla “Quave Natural Product
Library” (QNPL), una grande raccolta, ricca e filogeneticamente varia, di
prodotti naturali estratti da specie botaniche classiche e specie fungine, che
include ingredienti di supplementi dietetici di vasto consumo e principi
suggestivamente indicati come protettivi nei confronti del β-coronavirus
pandemico. I ricercatori hanno studiato 1867 estratti e 18 composti per il
legame della proteina spike del virus ai recettori ACE2 della cellula
ospite in un sistema virale SARS-CoV-2, che ha consentito di identificare 310
estratti, dai quali ha preso le mosse lo studio specifico.
(Risener C. J. et al., Botanical inhibitors of
SARS-CoV-2 viral entry: a phylogenetic perspective. Nature Scientific Reports 13, 1244, 2023 – Epub ahead of
print doi: 10.1038/s41598-023-28303-x, 2023).
La provenienza degli autori è la seguente: Molecular and Systems Pharmacology, Laney Graduate
School, Emory University, Atlanta, GA (USA); Center for the Study of Human
Health, Emory University, Atlanta, GA (USA); The Jones Center at Ichauway, Newton GA (USA); Missouri Botanical Garden, St.
Louis, MO (USA); Laboratory of Biochemical Pharmacology, Emory University,
Atlanta, GA (USA); Department of Dermatology, Emory University School of
Medicine, Atlanta, GA (USA);
Fino allo scorso gennaio 2023 sono stati registrati in
tutto il mondo 668 milioni di casi della malattia da SARS-CoV-2 o COVID-19 e
6.7 milioni di decessi per questa causa. Durante la pandemia, soprattutto negli
USA ma anche in Europa e in molti paesi di tutto il mondo, una percentuale altissima
di persone ha fatto uso di prodotti erboristici e derivati vegetali di ogni
specie[1], allo
scopo di prevenire l’infezione dal coronavirus pandemico o di trattare la
malattia in corso. Fra costoro, oltre a quanti per pregiudizio antiscientifico
si affidano sempre a placebo erboristici od omeopatici, vi sono stati quelli
che hanno letto articoli circa le proprietà antivirali di alcuni vegetali o
recepito, attraverso i numerosi canali mediatici oggi a disposizione,
informazioni su studi preliminari o mera propaganda di prodotti commerciali di
origine botanica e, in seguito a tali input, ne è divenuta consumatrice.
Conoscendo il meccanismo di accesso virale di SARS-CoV-2
a cellule endoteliali, pneumociti (1 e 2) ed epiteliali ciliate bronchiali
attraverso il legame al recettore ACE2 sulla superficie cellulare, molti hanno
suggerito la possibile efficacia di composti vegetali nel prevenire tale legame.
Come è noto, una volta legato al recettore ACE2, SARS-CoV-2 può entrare nella
cellula mediante fusione o endocitosi; altre proteine della membrana cellulare
dell’ospite, come TMPRSS2, possono modificare la proteina spike, al fine
del legame con ACE2. Se dei composti non tossici sono in grado di interferire
con questi processi deve essere provato.
Sugli estratti di erbe mediche impiegati contro
SARS-CoV-2 sono stati pubblicati studi in silico e pochi studi in
vitro, per un totale di una dozzina di lavori meritevoli di attenzione per metodo
e significatività dei dati[2].
Caitlin J. Risener e i suoi colleghi
di Atlanta hanno deciso di sottoporre a verifica tutte le specie vegetali e
fungine adottate nell’erboristica con presunta o ipotetica attività anti-SARS-CoV-2,
attingendo alla “Quave Natural Product Library” (QNPL).
Il loro studio, infatti, è il più grande screening di prodotti naturali provenienti da erbe
mediche per identificare composti potenzialmente in grado di inibire l’infezione
da SARS-CoV-2. Una ricerca di queste dimensioni ha valore in prospettiva filogenetica
perché fornisce nuove conoscenze sulle famiglie delle piante, che suggeriscono
ulteriori approfondimenti in chiave evolutiva.
I 310 estratti ottenuti dai 1867 iniziali appartenevano a 188 specie
diverse di 76 famiglie, 3 delle quali di tipo fungino e 73 di piante; tutte le
76 famiglie hanno presentato un’attività di inibizione dell’entrata del virus ≥
50% alla dose di 20 μg/mL.
A questo punto sono stati eliminati tutti gli estratti che presentavano
una citotossicità per i mammiferi superiore al 15% e tutti quelli che contenevano
glicosidi cardiaci di tipo cardiotossico. Tre estratti sono rimasti per l’ulteriore
selezione mediante test contro 4 varianti in pseudotipi
di SARS-CoV-2 (Delta/B.1.617.2, Alpha/B.1.1.7, Gamma/P.1 e Beta/B.1.351) e poi
sono stati ancora caratterizzati da un punto di vista chimico, cosa che ha
rivelato la potente attività antivirale (EC50 ˂ 5 μg/mL) dei fiori di Solidago
altissima L. (Asteraceae) e dei rizomi di Pteridium aquilinum
(L.).
La Solidago altissima, pianta alta fino a due metri riconoscibile
per le sue vistose e gradevoli infiorescenze gialle è una specie nordamericana di
goldenrod (tall
goldenrod), termine coniato nel 1568 per indicare
questo tipo nella famiglia delle Asteraceae, oggi
considerata parte del complesso di specie della Solidago canadiensis;
presenta differenze morfologiche e variazioni nel corredo cromosomico (diploide,
tetraploide, esaploide) che hanno suggerito una
distinzione in due varietà, l’una nordorientale e l’altra sudoccidentale. Gli Ojibway o Ojibwe[3], una tribù di nativi
americani del Michigan nota per una procedura di cottura dei mocassini che li
rende impermeabili, ancora all’inizio del Novecento trattava le ulcere con
impacchi di Solidago altissima.
Il cimento dell’estratto n° 1428 di Solidago altissima con i
prototipi virali citati, ha rivelato la straordinaria efficacia antivirale di EC50
˂ 5 μg/mL.
Le felci sono piante pteridofite conosciute per l’uso ornamentale, le cui
11.000 specie di origine prevalentemente tropicale sono studiate per
comprendere l’evoluzione della vita vegetale sulla terra: apparse nel Devoniano
inferiore, propagate in modo straordinario alla fine del Mesozoico, nel periodo
carbonifero formarono estese foreste d’alto fusto. La maggiore e la più
conosciuta in Italia è la felce aquilina (Pteridium
aquilinum, in Italia chiamata anche Pteris aquilina), così detta perché il rizoma
in sezione ricorda il profilo di un’aquila; è una pianta che, oltre ad essere esposta
per la sua estetica ornamentale, è impiegata come strame, imbottitura o
imballaggio. L’eleganza è data dalle fronde pennate con due o tre ordini di
divisioni, le più piccole delle quali sono dette pinnule[4].
Il cimento dell’estratto n° 1804 dal rizoma di Pteridium
aquilinum ha ugualmente mostrato la potenza
antivirale di EC50 ˂ 5 μg/mL.
L’identificazione di queste due piante quali fonti di derivati in grado
di inibire l’accesso di SARS-CoV-2 non vuol dire essere prossimi a definire due
candidati farmaci per la prevenzione dell’infezione dal virus pandemico. Come ammettono
gli stessi autori del lavoro, questo studio presenta alcuni limiti che vale la
pena considerare.
Innanzitutto, si deve osservare che lo studio di complesse miscele di
composti costituenti gli estratti di un vegetale può comportare risultati
variabili in dipendenza dello stato di salute della pianta, del suo luogo di
provenienza e dei metodi di estrazione, anche se gli autori hanno cercato di
ridurre le differenze nella preparazione, raccogliendo campioni freschi
provenienti dallo stesso luogo e con un simile grado di maturazione. Poi lo screening
iniziale nei modelli pseudotipici è stato limitato a
due repliche tecniche senza repliche biologiche, a causa dei vincoli di costo
del modello. Infine, ACE2 partecipa a numerosi processi dell’organismo,
principalmente regolando gli effetti dell’angiotensina 2, potenzialmente
causando problemi “off-target”; vi sono studi che supportano l’impiego di
inibitori di ACE2 per ridurre il danno al sistema respiratorio. È importante
anche sottolineare che, sebbene il modello di Risener
e colleghi utilizzi Spike-ACE2, lo studio non si occupa del meccanismo d’azione[5].
Concludendo, alla fine della cernita dei 1867 estratti iniziali, escludendo
quelli tossici alle dosi attive, ne sono rimasti solo due. In attesa che si
superino i problemi per lavorare a due futuri candidati farmaci, questo studio
è la prova più eloquente di quanto sia illusorio il massiccio uso di prodotti
erboristici che si è fatto e si continua a fare in questa pandemia.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE”
del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-18 febbraio 2023
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La Società Nazionale
di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience,
è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data
16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica
e culturale non-profit.
[1] In condizioni ordinarie, il
18-30% degli Americani riferisce di usare integratori dietetici botanici (Clarke
T. C., et al., Natl. Health Stat. Report
1-16, 2015); soprattutto in Asia è molto diffusa l’assunzione di prodotti
vegetali di medicina tradizionale cinese.
[2] Sono riportati nella
bibliografia dello studio qui recensito.
[3] Chiamati in inglese Chippewa, il loro vero nome, traslitterato anche “Ojibwa”,
si è conosciuto solo quando si è cominciato a studiare la loro lingua algonchina.
[4] Varie felci sono appartenute
alla farmaceutica officinale e magistrale. Ad esempio, il rizoma tortuoso ma
dolce del Polypodium vulgare, detto per
questo felce dolce, si usava in varie preparazioni; la polvere del
rizoma di felce maschio (Aspidium filix-mas) si era rivelata un efficace antielmintico.
[5] Si rinvia alla discussione
nel testo dell’articolo originale, in cui gli autori spiegano che la
determinazione del meccanismo d’azione esulava dal piano di ricerca.